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LE MONETE DI TASSAROLO
FRANCESCO MELONE
I
Nel territorio corrispondente all’attuale Regione Piemonte finora gli studi numismatici hanno elencato ben 39 zecche, documentate da locale coniazione di monete, oltre ad altre delle quali si conosce l’atto attestante il diritto di zecca, ma di cui non si conosce alcuna moneta che possa esserle attribuita con certezza.
Le località che hanno sicuramente coniato monete proprie sono: Acqui, Alba, Albera, Alessandria, Arquata, Asti, Benevello, Busca, Campi, Carmagnola, Casale, Ceva, Chivasso, Cisterna d’Asti, Cocconato, Cortemilia, Crepacuore, Cuneo, Desana, Dogliani, Domodossola, Frinco, Incisa, Ivrea, Messerano, Moncalvo, Montanaro, Novara, Passerano, Pombia, Ponzone, Rivara, Susa, Tassarolo, Torino, Tortona, Valenza, Vercelli, Vergagni.
Si hanno notizie di monete battute da tribù nomadi della Valle Padana, ad imitazione della “dramma” d’argento Massiliota, e in tempi successivi di altre attribuite a re longobardi per le zecche di Pombia e Vercelli, ma, per quanto riguarda il Piemonte, la più antica moneta – questo importante ed indiscutibile documento storico – si può considerare il “Denaro” d’argento coniato da Pietro I, Conte di Savoia, nel 1060 a Susa. Seguirono nel corso dei secoli le coniazioni nelle zecche citate, e di queste alcune ebbero vita brevissima, altre lavorarono molti anni, a seconda delle vicende politiche e storiche del tempo e del luogo, cessando o per morte naturale o volontaria o anche soltanto dopo strenua lotto contro l’invasore vittorioso, scomparendo insieme a piccoli o grandi feudi, alle signorie o ai principati, ai marchesati o ai liberi comuni.
Alla liquidazione dell’Impero Napoleonico, in tutto il Piemonte, unificato sotto casa Savoia, rimaneva funzionante soltanto la Zecca di Torino, capitale del Regno di Sardegna, finché, nel 1870, anch’essa fu privata del diritto di battere moneta metallica e, dopo pochi lustri, anche l’Officina Carte e Valori venne trasferita definitivamente a Roma.
Tra le zecche piemontesi sopra elencate vediamo che si trovano nel circondario di Novi Ligure quelle di Tassarolo, di Arquata e di Vergagni, tutte sorte per merito degli Spinola, ai quali appartenne anche la Zecca di Ronco e Roccaforte, perché è ormai a tutti note che il privilegio di battere moneta veniva concesso dall’Imperatore del Sacro Romano Impero a quelle famiglie signorili più illustri per le imprese, l’ingegno e il valore. Merito inoltre per l’arte dei pezzi coniati, che oltre ad essere scrupolosamente osservanti le convenzioni monetarie dell’epoca, a differenza di quelli di altre zecche, presentano uno stile incisorio tale da soffermarsi a riprodurre anche i più piccoli particolari, come le parti dell’armatura o le decorazioni nei busti, e da spingere al massimo l’accuratezza nell’esecuzione delle composizioni dei rovesci, raggiungendo un’efficacia di rappresentazione non comune.
LA FAMIGLIA SPINOLA
Una delle quattro maggiori famiglie di Genova e tra le nobili italiane di più remota origine. Alla fine del secolo XI gli Spinola, già ricchi e potenti formavano uno dei diversi rami in cui si dividevano allora i visconti che amministravano la città, vassalli dei marchesi, i quali governavano i feudi ai confini dell’Impero nell’Italia settentrionale e centrale. Le memorie più antiche che riguardano gli Spinola risalgono al 952 ed il primo cui gli atti attribuiscono tale nome è Guido, che alla fine del secolo XI combatté in Terra Santa e poi fu più volte console della città (1102-1121). La storia non racconta perché si facesse chiamare Spinola, forse perché Signore di Monte Spinola nel Tortonese, forse per una spina della Corona di Gesù portata in patria dalla Palestina, forse, e più probabilmente, senza altra ragione se non quella di distinguere questo Guido da altri. Dei molti suoi figli si ricordano Ansaldo e Oberto, dai quali discesero i due rami principali in cui si divise la famiglia: dei Luccoli e di S. Luca.
Durante il periodo comunale furono, con i Doria, a capo dei ghibellini, avversari delle altre due grandi famiglie genovesi, guelfe, dei Fieschi e dei Grimaldi e diedero, con altre famiglie viscontili, il maggior numero di consoli. Formatasi la Repubblica, la famiglia partecipò al governo con grandissimo numero di suoi membri, oltre a moltissimi capitani di terra o di mare, ambasciatori, annoverando 10 dogi e 127 senatori.
Ricordiamo, fra gli uomini d’arme degli Spinola, Ambrogio, del ramo di S. Luca, che per testimonianza dei suoi stessi nemici e del rivale Maurizio di Nassau, era considerato il miglior condottiero che l’Europa vantasse nel 1600. Comandante supremo delle truppe spagnole nelle Fiandre, nel 1625 riuscì, impresa ritenuta eccezionalmente difficile, a conquistare Breda, la cui resa fu glorificata da un dipinto del Velàzques; nominato Vicario Generale di Spagna in Italia, vinse i Francesi sotto Casale. Molti Spinola emersero anche nella vita religiosa, annoverando ben 13 Cardinali, oltre a numerosi vescovi. Ricorderemo, illustrando le monete di Tassarolo che ne portano l’effige, il martirio di Padre Carlo, missionario in Giappone nel 1602, poi venerato come Beato.
Abbiamo visto che gli Spinola discendono da quei visconti che nel periodo precedente i Comuni, reggevano le Città e di Contadi per conto dei Marchesi dell’Impero. Col diminuire progressivo dell’autorità e della forza di questi ultimi, i territori e le rendite di qualsiasi natura o per acquisto o per cessione o, più spesso, per usurpazione passavano in proprietà ai visconti, cosicché, sul finire del secolo XI, le famiglie viscontili erano le più potenti della Liguria e in seguito coi traffici, colle imprese marinare e guerresche, coi meriti verso la Repubblica di Genova ed anche verso potenze straniere, di secolo in secolo accrebbero le loro ricchezze. Nella Taxa anni 1636 totius Nobilitatis unius pro centenario super bonis Nobilium, Codice conservato nella Biblioteca dell’Università di Genova, si legge che la Famiglia Spinola nei suoi diversi rami possedeva per più di sedici milioni di lire genovesi del tempo. Per capire come fosse cospicua questa somma, senz’altro inferiore a quella realmente posseduta dalla famiglia per i domini ed i redditi relativi a territori fuori della Repubblica, si pensi che nel 1683 il bilancio genovese si aggirava sui due milioni di Lire di Francia, inferiori come valore a quelle di Genova.
Testimoni di tanta opulenza restano i sontuosi palazzi fatti costruire dalla Famiglia, ben dodici nella sola Genova.
Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore di Germania, desiderando mostrare la sua particolare benevolenza ad Opizzino Spinola di Luccoli, con atto dell’8 febbraio 1313, gli concedeva in feudo i seguenti luoghi:
Castrum et Burgum Serravallis, Castrum et Burgum Arquatae, Castrum et Burgum Stazani, Castrum et Burgum Pastoranae, Castrum et Burgum Castelleti, Castrum et Burgum Sancti Cristophori, Castrum Claremontis, Castrum et Terrae Vallis Scriviate cum villis, curiis, territoriis et pertinentiis ipsorum, Castrum et grangiam Bissi cum sua jurisdictione.
Questi territori erano già di proprietà di Opizzino o dei suoi avi, altri ne ebbero i suoi discendenti, con investiture dei successori di Enrico VII quali Imperatori del Sacro Romano Impero.
Il ramo di S. Luca, così chiamato perché il suo progenitore abitava nei pressi di quella Chiesa, ebbe Casareggio, Masone, Cassano, feudi in Sicilia, in Spagna, in Fiandra, nel Napoletano ed altri.
I Luccoli ebbero inoltre Cantalupo, Busalla, Tassarolo, Roccaforte, Ronco, Rocchetta, Mongiardino, Francavilla, Lucca, Tortona, Vergagni, Isola del Cantone, Borgo Fornari, Voltaggio, Dernice, Pietrabissara, Lerma.
Giovanni Villani, nella sua “Storia di Firenze”, narra che nel 1312 l’Imperatore Enrico VII, sdegnato contro i Fiorentini, emanò dure leggi contro di loro e tra l’altro ordinò che non potessero battere monete d’oro né d’argento, e consentì per privilegio a Messer Ubizino Spinola di Genova, e al Marchese di Monferrato, che potessero battere in loro terre fiorini di giglio contraffatti al conio dei nostri di Firenze. La qual cosa dai Savi gli fu messa in grande diffalta e peccato, che per cruccio, e mala volontà c’avesse contro a’ Fiorentini non dovea niuno privilegiare che battesse fiorini falsi. Ciò è confermato anche dal Vettori nel suo “Fiorino d’oro antico illustrato”, ricordando anche che Corrado dei Giotti, Gonfaloniere di Giustizia in Firenze, nel 1325 proibì il fiorino d’oro che batteva in Genova Opizzino Spinola, perché era simile a quello di Firenze.
Le due testimonianze non lasciano dubbio sul privilegio ottenuto da Opizzino, né sull’uso che egli ne fece, tuttavia nessun altro documento o memoria dei diversi cultori di cose liguri cita monete così contraffatte, per cui non ne conosciamo alcuna. D’altra parte nell’atto di investitura di Enrico VII nel 1313, che abbiamo citato prima, non vi è parola di zecca, cosa che concessero invece i successori di Enrico ai vari Spinola in tempi posteriori, nel corso del XVI e XVII secolo.
Il privilegio della zecca venne accordato a molti Spinola, ma ne usarono solo i Conti di Tassarolo, i Marchesi di Arquata, i Conti di Ronco, che erano anche Marchesi di Roccaforte, e Gian Battista Marchese di Vergagni.
LA ZECCA DI TASSAROLO
Le origini di Tassarolo non si conoscono, come non si conosce la derivazione del suo toponimo, che pare derivi non dal nome della pianta taxus, ma da quello del tasso animale, tuttavia è certamente antica la sua storia. Infatti, come si legge nel volume I° del Liber jurium, nel 1192 il castello, costruito in posizione strategica a guardia e controllo, come era uso, di vie percorribili o passi obbligati, era possesso della repubblica di Genova, dopo essere già stato dei Marchesi di Gavi, gli Obertenghi, durante le lotte feudali contro Alessandria e Genova.
Dagli Annali di Alessandria del Ghilini, si apprende che nel 1196 si accese la guerra per il possesso del Castello fra i genovesi e gli alessandrini, finché nel 1224 questi lo conquistarono, distruggendolo insieme al borgo che sorgeva all’ombra della torre alta.
Ricostruito ben presto, è ricordato nelle terre che Alessandria si obbliga a difendere con Genova nella convenzione conclusa nel 1227 (Ghilini, opera citata). In seguito sembra che fosse sotto la signoria del nobile genovese Tedisio De Camilla, poi, nel 1349, dopo un tentativo di rivolta a Genova per darsi al Duca di Milano insieme ad altri feudi della Repubblica, tentativo non riuscito per il pronto intervento, duro ed esemplare, dei Genovesi, passò ai nobili Di Negro seguiti dai Castagna, finché nel 1360 fu acquistato dagli Spinola di Luccoli, i cui discendenti ne furono sempre proprietari fino ad oggi.
Nel trattato di pace del 14 ottobre 1454 fra il Duca di Milano Francesco Sforza ed i Veneziani e Fiorentini, si legge che tra i confederati c’erano Galeotus et Hector de Spinulis condomini Taxaroli. Un pronipote di Ettore, Marc’Antonio di Agostino, ottenne dall’Imperatore Ferdinando I, con atto dato a Vienna il 30 marzo 1560, che Tassarolo fosse elevata a Contea e che egli potesse godere tutti i diritti inerenti alla qualità di Conte del Sacro Romano Impero, tra gli altri quello del privilegio di Zecca: …… concedimus et elargimur libertatem et facultatem in antedicto Comitatu Tassaroli officinam monetariam fabricandi et instruendi ac cudendi monetam auream, argenteam et aeream cuiuscunque generis, sorti set valoris, cum iis singis, inscriptione, quae dicto Marco Antonio Spinulae et eius successoribus placuerit, dummodo curatur bona, sincera et iusta……
Attigua al castello, dal lato est, sotto il loggiato cinquecentesco, esiste tuttora la costruzione che a suo tempo costituiva la zecca: si tratta di un lungo edificio rettangolare anch’esso, come il castello, monumento nazionale.
Ricordiamo che il castello di Tassarolo aveva importanza nella valle e nelle vicende militari, allora così frequenti, sia perché dominava una strada molto frequentata, mettendo in comunicazione la Liguria, via Bocchetta – Voltaggio – Gavi, con il Piemonte e la Lombardia, sia perché si trovava al confine della Repubblica di Genova con il Piemonte stesso; tra le sue mura crebbe il generale Agostino, il beato Carlo, il Cardinale Filippo e, nel secolo scorso, l’entomologo Massimiliano, che vi riunì, ancora oggi conservata dai discendenti e ammirata dagli studiosi, una preziosa raccolta di insetti provenienti da tutto il mondo, illustrati con competenza tale da arrecare un notevole contributo alla loro sistematica.
Oggi il castello è oggetto di particolari attenzioni e cure da parte del marchese Marco, appassionato cultore di ricerche storiche e scientifiche, che ringraziamo per il prezioso aiuto prestato a queste note.
Non mi risulta che Marc’Antonio usasse del privilegio di batter moneta, mentre ne approfittarono abbondantemente il figlio Agostino e il nipote Filippo. Del primo Conte di Tassarolo resta una medaglia di bronzo, con al recto il busto a sinistra, vestito alla spagnola, contornato dall’iscrizione MARCVS ANT. SPINOLA COMES TASSAROLI e sotto il busto la data 1567. Il verso offre l’immagine di Atlante che regge il mondo. Molto ben rilevante sono le membra del corpo ed i segni dello zodiaco, che si vedono nella porzione del globo, interrotto dal contorno perlinato: SUS-TINE. è l’imperativo evidentemente rivolto al Conte per esaltarne le virtù. Non si conosce il nome dell’incisore, che non era certo da poco, a giudicare l’arte di questa medaglia.
Nel 1596 fu introdotto in Italia l’uso di battere monete simili ai fiorini ungheresi, chiamati ongari o ungari, che erano d’oro, di peso uguale allo zecchino veneto, carati 18 1/2 e del valore di danari 23 1/2. Ne uscirono delle zecche di Sabbioneta, Correggio, Macagno, Masserano, Vigevano e Tassarolo. Altro uso frequente nelle zecche del tempo, e specialmente in quelle di Firenze, Genova, Pesaro, Lucca, Fosdinovo, Loano, Monaco, era di coniare monete destinate ai traffici con il Levante contraffatte con quantità minori di fino per avere più lauti guadagni. Nelle Notizie sulla battitura dei uligini lette al Magistrato delle Monete della Repubblica il 29 settembre 1667, pubblicate dall’Olivieri in “Monete, Medaglie e Sigilli dei Principi Doria”, si afferma che nel 1663 si iniziarono a battere tali monete in Tassarolo ed una certa quantità ne fu spedita in Smirne a tale Valentino Berti, il quale fu scoperto ed accusato, con confisca di 2000 pezzi, salvandosi solo con la fuga.
Anche il Viani nelle “Memorie della Famiglia Cybo” cita una sentenza del Parlamento di Aix in data 22 dicembre 1667 in cui si legge che anche nella zecca di Tassarolo si battevano monete per il Levante.
Gli zecchieri di Tassarolo non batterono abusivamente soltanto i cosiddetti “Luigini” per il Levante, ma falsificarono anche monete di altri paese, compromettendo il nome del loro Conte. Infatti, sempre dalle “Memorie della Famiglia Cybo” si legge che nel 1665 furono imitate le monete da otto bolognini del duca di Massa Alberico Cybo II, il quale, avvisato dal suo zecchiere, ordinò che ne fosse informato l’Imperatore a Vienna. L’affare fu tacitato col ritiro delle monete false, riconoscibili da quelle autentiche soprattutto dall’attributo di principe dato ad Alberico, mentre il conio di Massa reca il Dux della dignità ducale. La moneta battuta a Tassarolo reca infatti nel dritto l’immagine del duca coll’iscrizione ALBERIC.II.S.R.I.MASSAE.PRI e il numero 8 (indicante la quantità dei bolognini), al rovescio lo scudetto con lo stemma dei Cybo, il motto LIBERTAS e l’epigrafe CVSTODIAT. DOMINVS 1665; moneta assai rara, come la maggior parte dei uligini battuti nei feudi imperiali, poiché, quando furono proibiti per unanime consenso dei vari principi, vennero minacciate pene gravissime agli spacciatori, i quali si affrettarono a distruggerli.
LE MONTE DEGLI SPINOLA DI TASSAROLO.
Le prime monete di Tassarolo portano la data del 1604, battute da Agostino Spinola, figlio del Marc’Antonio, che, come abbiamo visto, ne aveva ricevuto il privilegio. La grida dell’8 giungo 1602 della Repubblica di Genova parla delle monete di Loano del Principe Doria e tace di quelle di Tassarolo, per cui evidentemente a quella data non esistevano ancora. Sono nominate per la prima volta nella grida del 24 settembre 1619, con cui viene permesso alle città di Savona, Varazze, Chiavari, Rapallo e Recco di spendere le monete di mistura forestiere proibite il 9 luglio dello stesso anno e tra queste sono elencati i pezzi da soldi 13 e 4 di Tassarolo.
La grida del 9 agosto 1639 dà alla doppia di Tassarolo valore di 12.12 lire di Genova, l’altra del 2 marzo 1632 uguaglia il ducatone a quello di Savoia, Lucca, Parma, Piacenza, Milano, Mantova, Modena, Venezia, e la doppia d’oro a quella del Duca di Piacenza e del Principe di Massa.
Nei bandi della Casa di Savoia in materia di monete, spesso si danno ordini per quelle di Tassarolo. Il 10 ottobre 1607, l’Auditore Gian Paolo Bianco informava che i talleri coniati a Masserano, a Tassarolo e nel Monferrato non potevano aver corso negli Stati di Savoia. Il 28 gennaio 1614 Carlo Emanuele proibiva l’introduzione, uso commercio e transito nei suoi Stati di tutte le monete di Masserano, Tassarolo e Desana; altre grida simili venivano pubblicate fino al 23 giugno 1691, sotto il Duca Vittorio Amedeo II.
Due grida di Sabbioneta, del 9 settembre 1619 e del 3 maggio 1616, danno corso ai denari di Parma, Mantova e dello Spinola, una grida di Mantova del 14 settembre 1614 fa valere il tallero del Conte di Tassarolo lire 4.13. Il Bellini nell’“Antica lira ferrarese” cita una grida di Ferrara del 2 agosto 1612 nella quale si da corso ad una Moneta del Conte di Tassarolo, da una parte l’impronta del Conte armato, e dall’altra un’aquila con due teste, ed in mezzo all’aquila un’arma d’Austria L. 2,13,1.
Diverse tariffe di Anversa e molti altri editti per il corso delle monete stampati in Italia ed in Francia nel secolo XVII danno il valore di varie monete di Tassarolo e ne accenneremo nella descrizione di queste, seguendo, come sin qui si è fatto, l’ottimo testo di Agostino Olivieri “Monete e Medaglie degli Spinola” (Genova, 1860).
Le Monete di Tassarolo - II (NOVINOSTRA, Dicembre 1975) | |