Attiviamo un piano urgente e riprendiamoci la nostra autonomia della metrica monetaria.
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Appendice: Cenni Storici sulla moneta
LE ORIGINI DELLA MONETA La storia della moneta ha le sue origini nel VII secolo a.C. in Lidia, dove il re Creso creò
"l'elettro" costituito da una lega di oro e argento, seguito nelle polis greche dal
Dracma.
Ma perchè venne creata la moneta? Per rispondere a questa domanda bisogna fare un
lungo balzo all'indietro e tornare alle origini dell'economia quando il commercio era
rappresentato dallo scambio di beni tra due soggetti: il baratto.
Con il baratto non era possibile scambiare in modo efficiente le quantità di beni
necessari: pensiamo ad esempio ad un falegname che aveva bisogno di grano in un
determinato momento; poteva accadere che il produttore di grano non avesse bisogno di
legno; quando il produttore di grano invece aveva bisogno di legno poteva accadere che
non avesse grano disponibile da scambiare.
Per agevolare gli scambi era necessario uno strumento che permettesse al falegname di
comprare grano senza necessariamente scambiare il suo legno e permettesse al produttore di grano di comprare legno senza dover scambiare grano: per soddisfare tali esigenze
nacque la moneta.
LE FUNZIONI DELLA MONETA
Tre sono le funzioni della moneta:
1) Unità di conto: è l'unità di misura, il "metro" del valore dei beni da scambiare; in questo modo tutti i beni esistenti vengono misurati con le stesse unità;
2) Strumento di pagamento tramite il quale è possibile scambiare i beni in qualsiasi
quantità e tempo; ogni bene viene misurato e riceve un prezzo in base alle unità di
moneta necessarie per acquistarlo;
3) Riserva di valore: la moneta può essere conservata e utilizzata nel futuro senza che
si deteriori.
Attualmente pare che la moneta conservata sia un ostacolo alla sopravvivenza degli organitroppo costosi quali banche costose e stati costosi, ed è per questo che banche e borse acclamano movimento valutario continuo per scongiurare la propria stessa sopravvivenza.
Con la moneta il falegname e il produttore di grano non avranno più problemi a scambiare le proprie merci.
IL VALORE INTRINSECO
Originariamente il valore della moneta corrispondeva al valore del metallo prezioso
utilizzato per coniarla, chiamato valore intrinseco: una moneta composta da determinati
grammi d'oro valeva di più di una moneta composta dagli stessi grammi d'argento e molto
di più di una di bronzo. Tale corrispondenza di valore era una garanzia per i commercianti che accettavano con sicurezza il pagamento con monete di metallo prezioso,
dato il loro riscontrabile valore. Possiamo quindi accostare il concetto di valore intrinseco
(anche chiamato valore d'uso) al costo di produzione della moneta.
Comprendere questo concetto è essenziale per capire che cos'è il signoraggio che verrà diseguito spiegato.
IL BIMETALLISMO NEL MEDIOEVO
Nel medioevo si affermò il sistema del bimetallismo che prevedeva l'utilizzo di due
monete di cui una aurea, di maggior valore, e una argentea, di valore intermedio. Ogni
stato lo marchiava col sigillo del proprio re e lo accettava come strumento di pagamento.
IL VALORE ESTRINSECO
Durante il medioevo si comincia a vedere la differenziazione tra valore intrinseco e
valore estrinseco, cioè il valore di scambio attribuito alla moneta, anche chiamato
valore nominale. Ciò accadde quando gli stati iniziarono a mescolare metalli non preziosi
all'oro e all'argento nelle monete che venivano considerate di pari valore a quelle
costituite da solo oro e argento. Le prime pur avendo un valore estrinseco pari alle
seconde, hanno un costo di produzione (valore intrinseco) minore. Molti commercianti
non accettavano tali monete poichè erano fortemente legati al valore intrinseco della moneta, un principio di economia reale oggi scomparso.
Oltre a questo lo stato che coniava la moneta chiedeva, solitamente, un piccolo dazio per la lavorazione. Facciamo un esempio molto pratico: chi portava dell'oro per un valore di 100, riceveva in cambio monete d'oro per un valore di 98; il 2 di differenza costituiva il dazio
per la coniazione della moneta. Nasce il signoraggio, cioè il guadagno ottenuto dalla differenza tra valore estrinseco e valore intrinseco in luogo della coniazione di
moneta.
LA NASCITA DELLE BANCONOTE
Con il passare del tempo le monete hanno presentato diversi problemi: innanzitutto più
gli scambi e la ricchezza dello stato crescevano, maggiore era la necessità di moneta per gli scambi, ma l'offerta di metalli preziosi era difficilmente controllabile. Inoltre
presentava non pochi problemi di sicurezza il trasferimento di grandi somme di denaro per il rischio di furti o di perdita; inoltre il trasferimento di grosse quantità di monete
comportava costi di trasporto elevati.
Per fronteggiare tali problemi sono nate le banconote e, con esse, le prime banche: nel
trecento d.C. la prima banconota si chiamava "nota di banco" ed era rilasciata dai
neonati banchieri in garanzia dell'oro depositato dal detentore. In altre parole chi
depositava oro presso le banche riceveva un documento cartaceo che gli garantiva il
diritto di ritirare in qualsiasi momento tale quantità di oro; la nota di banco poteva
essere liberamente scambiata ed era accettata per convenzione secondo il valore nominale indicato su di essa (valore estrinseco).
IL SIGNORAGGIO BANCARIO
Nel settecento il numero di transazioni in moneta metallica è calato conseguentemente
all'aumento delle transazioni attraverso moneta cartacea e il numero di conversioni delle
banconote in oro è diventato molto raro, dati i vantaggi del pagamento tramite moneta
cartacea.
A questo punto le banche cominciavano a svolgere una nuova attività: l'emissione di
nuova moneta cartacea, cioè la stampa di nuove banconote senza deposito di oro (quindi
senza alcuna garanzia) e il prestito di tali banconote (l'attuale debito) a chiunque ne avesse bisogno, in cambio della promessa di della stessa quantità di valore (il capitale
prestato) più un interesse. In questo modo le banche, oltre all'interesse, si appropriano di un reddito dato dalla differenza tra il valore del capitale prestato e l'esiguo costo di stampa cartacea: è il signoraggio bancario.
SISTEMA GOLD STANDARD
Approfittando del fatto che quasi più nessuno ritirava l'oro depositato nelle banche, i
banchieri prestavano somme maggiori di quelle realmente detenute con il risultato che le banconote non avevano più la garanzia di copertura in oro.
In questo modo l'oro perde gradualmente la sua funzione di mezzo di scambio e assume il
carattere di riserva delle banche (riserva aurea) utilizzata per limare i deficit delle bilance
commerciali (deficit che si verifica quando un paese acquista da un altro beni e servizi in
valore superiore al valore delle vendite).
La riserva aurea è alla base del Sistema aureo o Gold standard adottato a partire dal XVIII
secolo dall'Inghilterra poi seguita dalle altre grandi nazioni europee (tra cui l'Italia nel
1873) e poi giunta oltre i confini europei in Russia nel 1893, in Giappone nel 1897, in India nel 1898, negli Stati Uniti nel 1900.
Con questo sistema l'argento ha perso definitivamente il valore commerciale che aveva
posseduto nei secoli precedenti e segnava la fine del bimetallismo.
LA GRANDE DEPRESSIONE E LA CRISI DEL GOLD STANDARD
Il sistema aureo perdurò fino alla grande depressione del 1929, una crisi causata delle
azzardate politiche dei governi adottate per regolare i deficit della bilancia
commerciale: tali politiche miravano alla svalutazione della moneta per far crescere le
esportazioni giocando sulla competitività del cambio; le conseguenze furono disastrose
poichè le entrate nazionali diminuirono e con essa la domanda interna, causando elevata
disoccupazione e il declino del commercio mondiale.
BRETTON WOODS: GOLD EXCHANGE STANDARD
La fine del sistema aureo si inaugura il nel luglio del 1944 a Bretton Woods dove viene
decretato l'inizio di un nuovo sistema chiamato Gold exchange standard, basato su
rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era
agganciato all'oro.
Le caratteristiche principali della conferenza di Bretton Woods erano due: la prima,
l'obbligo per ogni paese di adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di
cambio ad un valore fisso rispetto al dollaro, che veniva così eletto a valuta
principale, consentendo solo delle lievi oscillazioni delle altre valute; la seconda, il compito di equilibrare gli squilibri causati dai pagamenti internazionali, assegnato al
Fondo Monetario Internazionale (o FMI).
Il piano istituì sia il FMI che la Banca internazionale per la ricostruzione e lo
sviluppo (detta anche Banca mondiale o World Bank). Queste istituzioni sarebbero
diventate operative solo quando un numero sufficiente di paesi avesse ratificato l'accordo. Ciò avvenne nel 1946.
Nel 1947 viene firmato a Ginevra, da 23 Paesi, il GATT (General Agreement on Tariffs
and Trade, cioè Accordo Generale sulle Tariffe ed il Commercio), un accordo
internazionale, per stabilire le basi di un sistema multilaterale di relazioni commerciali conlo scopo di favorire la liberalizzazione del commercio mondiale. Il GATT fu sostituito nel 2008 dal WTO (World Trade organization, cioè Organizzazione mondiale del commercio)
firmato da 153 Paesi a cui si aggiungono 30 Paesi osservatori, che rappresentano circa il 97% del commercio mondiale di beni e servizi.
LA NASCITA DELL'EURO
L'Euro è la valuta comune ufficiale dell'Unione Europea . Il debutto dell'euro sui
mercati finanziari risale al 1999, mentre la circolazione monetaria ha effettivamente
avuto inizio il 1 gennaio 2002 nei dodici paesi dell'Unione che per primi hanno adottato la nuova valuta.
La Banca Centrale Europea (BCE) è la Banca Centrale incaricata dell'attuazione della
politica monetaria per i diciassette paesi dell'Unione Europea che hanno aderito
all'euro. La quota della BCE sul totale delle banconote in euro emesse trova
contropartita nei crediti nei confronti delle Banche Centrali Nazionali (BCN), crediti,
di natura fruttifera, iscritti alla voce “crediti interni all'eurosistema: crediti
derivanti dall'allocazione delle banconote in euro all'interno dell'eurosistema.
LA MONETA OGGI
La storia della moneta ha visto l'oro perdere la valenza commerciale che aveva potuto
vantare nei secoli precedenti. Infatti come risulta dal Modern Money Mechanics
(pubblicazione della Federal Reserve Bank di Chicago, la Banca Centrale Statunitense) la
riserva aurea è stata sostituita dalla riserva frazionaria costituita da depositi di
contanti o di attività facilmente liquidabili: ciò significa che su un deposito di 100
una sua frazione viene detenuta come riserva e il resto prestata. La frazione di 5/100 ad
esempio permette il prestito di un capitale di 95. Tale sistema può sopravvivere solo se è
limitata la liquidazione dei depositi (infatti ad esempio nei conti correnti è
possibile prelevare solo una piccola frazione del totale); in realtà se domani tutti
coloro che hanno depositato denaro liquido in una banca chiedessero la liquidazione del
conto, tale banca non potrebbe soddisfare tutti (anzi solo una piccola frazione), ma
dovrebbe dichiarare default. Ma come per l'oro qualche secolo prima, anche oggi chi apre depositi o conti correnti in banca raramente chiede l'intera liquidazione. Il ruolo di riserva si è trasferito dall'oro alle banconote e alle altre attività liquide.
POTERE DI EMISSIONE E SIGNORAGGIO BANCARIO SECONDARIO
Nei sistemi monetari attuali il potere di emissione della moneta, del reddito da
signoraggio e della riscossione di interessi appartiene esclusivamente alle Banche
Centrali, tuttavia le banche ordinarie continuano in un certo senso, a "produrre moneta"
non certo stampando banconote proprie ma attraverso l'emissione di strumenti di pagamento bancari (moneta che non rientra nella base monetaria, come i conti correnti) a fronte
del deposito di banconote. Il reddito che ne deriva è chiamato signoraggio bancario
secondario.
vedi fonte
LETTERA DI CAMBIO
Datini, che (forse) inventò l'assegno
I comuni italiani del Trecento innovarono i sistemi di pagamento che erano stati
consolidati in epoca Romana. Per evitare di trasportare denaro su strade pericolose, fu
inventata la "lettera di cambio", antenata dell'assegno. La lettera consentiva al suo
possessore di ricevere da una banca l'equivalente della somma indicata. Non è certa
l'attribuzione della lettera di cambio a Francesco Datini (Prato, 1335-1410), che ne fu
tra i maggiori utilizzatori. Analoghe forme di "lettere di cambio" si erano diffuse in
Cina del nono e nel decimo secolo dopo Cristo.
MINI ASSEGNI
Il fenomeno «mini-assegni»
Per tre anni le tasche degli italiani si riempirono di «mini-assegni»: dal dicembre 1975 alla fine del 1978 la carenza di monetine venne sopperita dall'utilizzo di biglietti dal piccolo
valore emessi dalle singole banche.
Le quali utilizzarono l'escamotage dell'assegno circolare per evitare il divieto della
banca centrale a emettere moneta. I mini-assegni venivano intestati a enti e società e in
teoria sarebbero dovuti circolare con le varie girate dei soggetti che ne entravano in
possesso. In pratica venivano scambiati come vera e propria moneta corrente.
MONETA UNICA
Dieci anni con l'euro in tasca
Il 1° gennaio 2002 centinaia di milioni di europei abbandonarono le loro monete nazionali – lira, marco, franco – per adottare definitivamente l'euro. Fu l'evento finale di un
lungo processo di convergenza dei sistemi monetari di undici paesi europei, innescato nel 1999 con l'introduzione della moneta unica come unità di conto "virtuale"; la Grecia si
aggiunse nel 2001 e negli anni successivi si unirono altri cinque paesi. Molti i vantaggi
sistemici per centinaia di milioni di europei, dalla nascita di un sistema monetario a
unica divisa. L'introduzione dell'euro nei mesi successivi provocò però non poche
difficoltà a centinaia di milioni di europei: la conversione secondo alcune fonti,
produsse un aumento dei prezzi, anche perché in alcuni casi ci furono arrotondamenti che produssero spinte inflattive. E polemiche nei confronti delle autorità per aver sottostimato l'impatto psicologico del passaggio dalle monete nazionali all'euro.
vedi fonte
Le Zecche storiche italiane Acaia, Asti, Benevello, Brescello, Cagliari, Camerino,Carmagnola, Casale, Castro, Cisterna, Correggio,Cremona, Desana, Ferrara, Firenze, Frinco, Genova,Guastalla, Gubbio, Lucca, Mantova, Massa di Lunigiana,Massa Lombarda, Messerano, Messina, Milano,Mirandola, Modena, Montalcino, Montanaro, Musso,Napoli, Novara, Parma, Passerano, Pesaro, Piacenza,Pomponesco, Reggio Emilia, Sabbioneta, Sardegna,Siena, Soragna, Urbino, Venezia, Vercelli, Stato Pontificio
Storie di Monete
LE MONETE DI TASSAROLOFRANCESCO MELONEI
Nel territorio corrispondente all’attuale Regione Piemonte finora gli studi numismatici hanno elencato ben 39 zecche, documentate da locale coniazione di monete, oltre ad altre delle quali si conosce l’atto attestante il diritto di zecca, ma di cui non si conosce alcuna moneta che possa esserle attribuita con certezza.
Le località che hanno sicuramente coniato monete proprie sono: Acqui, Alba, Albera, Alessandria, Arquata, Asti, Benevello, Busca, Campi, Carmagnola, Casale, Ceva, Chivasso, Cisterna d’Asti, Cocconato, Cortemilia, Crepacuore, Cuneo, Desana, Dogliani, Domodossola, Frinco, Incisa, Ivrea, Messerano, Moncalvo, Montanaro, Novara, Passerano, Pombia, Ponzone, Rivara, Susa, Tassarolo, Torino, Tortona, Valenza, Vercelli, Vergagni.
Si hanno notizie di monete battute da tribù nomadi della Valle Padana, ad imitazione della “dramma” d’argento Massiliota, e in tempi successivi di altre attribuite a re longobardi per le zecche di Pombia e Vercelli, ma, per quanto riguarda il Piemonte, la più antica moneta – questo importante ed indiscutibile documento storico – si può considerare il “Denaro” d’argento coniato da Pietro I, Conte di Savoia, nel 1060 a Susa. Seguirono nel corso dei secoli le coniazioni nelle zecche citate, e di queste alcune ebbero vita brevissima, altre lavorarono molti anni, a seconda delle vicende politiche e storiche del tempo e del luogo, cessando o per morte naturale o volontaria o anche soltanto dopo strenua lotto contro l’invasore vittorioso, scomparendo insieme a piccoli o grandi feudi, alle signorie o ai principati, ai marchesati o ai liberi comuni.
Alla liquidazione dell’Impero Napoleonico, in tutto il Piemonte, unificato sotto casa Savoia, rimaneva funzionante soltanto la Zecca di Torino, capitale del Regno di Sardegna, finché, nel 1870, anch’essa fu privata del diritto di battere moneta metallica e, dopo pochi lustri, anche l’Officina Carte e Valori venne trasferita definitivamente a Roma.
Tra le zecche piemontesi sopra elencate vediamo che si trovano nel circondario di Novi Ligure quelle di Tassarolo, di Arquata e di Vergagni, tutte sorte per merito degli Spinola, ai quali appartenne anche la Zecca di Ronco e Roccaforte, perché è ormai a tutti note che il privilegio di battere moneta veniva concesso dall’Imperatore del Sacro Romano Impero a quelle famiglie signorili più illustri per le imprese, l’ingegno e il valore. Merito inoltre per l’arte dei pezzi coniati, che oltre ad essere scrupolosamente osservanti le convenzioni monetarie dell’epoca, a differenza di quelli di altre zecche, presentano uno stile incisorio tale da soffermarsi a riprodurre anche i più piccoli particolari, come le parti dell’armatura o le decorazioni nei busti, e da spingere al massimo l’accuratezza nell’esecuzione delle composizioni dei rovesci, raggiungendo un’efficacia di rappresentazione non comune.
LA FAMIGLIA SPINOLA
Una delle quattro maggiori famiglie di Genova e tra le nobili italiane di più remota origine. Alla fine del secolo XI gli Spinola, già ricchi e potenti formavano uno dei diversi rami in cui si dividevano allora i visconti che amministravano la città, vassalli dei marchesi, i quali governavano i feudi ai confini dell’Impero nell’Italia settentrionale e centrale. Le memorie più antiche che riguardano gli Spinola risalgono al 952 ed il primo cui gli atti attribuiscono tale nome è Guido, che alla fine del secolo XI combatté in Terra Santa e poi fu più volte console della città (1102-1121). La storia non racconta perché si facesse chiamare Spinola, forse perché Signore di Monte Spinola nel Tortonese, forse per una spina della Corona di Gesù portata in patria dalla Palestina, forse, e più probabilmente, senza altra ragione se non quella di distinguere questo Guido da altri. Dei molti suoi figli si ricordano Ansaldo e Oberto, dai quali discesero i due rami principali in cui si divise la famiglia: dei Luccoli e di S. Luca.
Durante il periodo comunale furono, con i Doria, a capo dei ghibellini, avversari delle altre due grandi famiglie genovesi, guelfe, dei Fieschi e dei Grimaldi e diedero, con altre famiglie viscontili, il maggior numero di consoli. Formatasi la Repubblica, la famiglia partecipò al governo con grandissimo numero di suoi membri, oltre a moltissimi capitani di terra o di mare, ambasciatori, annoverando 10 dogi e 127 senatori.
Ricordiamo, fra gli uomini d’arme degli Spinola, Ambrogio, del ramo di S. Luca, che per testimonianza dei suoi stessi nemici e del rivale Maurizio di Nassau, era considerato il miglior condottiero che l’Europa vantasse nel 1600. Comandante supremo delle truppe spagnole nelle Fiandre, nel 1625 riuscì, impresa ritenuta eccezionalmente difficile, a conquistare Breda, la cui resa fu glorificata da un dipinto del Velàzques; nominato Vicario Generale di Spagna in Italia, vinse i Francesi sotto Casale. Molti Spinola emersero anche nella vita religiosa, annoverando ben 13 Cardinali, oltre a numerosi vescovi. Ricorderemo, illustrando le monete di Tassarolo che ne portano l’effige, il martirio di Padre Carlo, missionario in Giappone nel 1602, poi venerato come Beato.
Abbiamo visto che gli Spinola discendono da quei visconti che nel periodo precedente i Comuni, reggevano le Città e di Contadi per conto dei Marchesi dell’Impero. Col diminuire progressivo dell’autorità e della forza di questi ultimi, i territori e le rendite di qualsiasi natura o per acquisto o per cessione o, più spesso, per usurpazione passavano in proprietà ai visconti, cosicché, sul finire del secolo XI, le famiglie viscontili erano le più potenti della Liguria e in seguito coi traffici, colle imprese marinare e guerresche, coi meriti verso la Repubblica di Genova ed anche verso potenze straniere, di secolo in secolo accrebbero le loro ricchezze. Nella Taxa anni 1636 totius Nobilitatis unius pro centenario super bonis Nobilium, Codice conservato nella Biblioteca dell’Università di Genova, si legge che la Famiglia Spinola nei suoi diversi rami possedeva per più di sedici milioni di lire genovesi del tempo. Per capire come fosse cospicua questa somma, senz’altro inferiore a quella realmente posseduta dalla famiglia per i domini ed i redditi relativi a territori fuori della Repubblica, si pensi che nel 1683 il bilancio genovese si aggirava sui due milioni di Lire di Francia, inferiori come valore a quelle di Genova.
Testimoni di tanta opulenza restano i sontuosi palazzi fatti costruire dalla Famiglia, ben dodici nella sola Genova.
Enrico VII di Lussemburgo, Imperatore di Germania, desiderando mostrare la sua particolare benevolenza ad Opizzino Spinola di Luccoli, con atto dell’8 febbraio 1313, gli concedeva in feudo i seguenti luoghi:
Castrum et Burgum Serravallis, Castrum et Burgum Arquatae, Castrum et Burgum Stazani, Castrum et Burgum Pastoranae, Castrum et Burgum Castelleti, Castrum et Burgum Sancti Cristophori, Castrum Claremontis, Castrum et Terrae Vallis Scriviate cum villis, curiis, territoriis et pertinentiis ipsorum, Castrum et grangiam Bissi cum sua jurisdictione.
Questi territori erano già di proprietà di Opizzino o dei suoi avi, altri ne ebbero i suoi discendenti, con investiture dei successori di Enrico VII quali Imperatori del Sacro Romano Impero.
Il ramo di S. Luca, così chiamato perché il suo progenitore abitava nei pressi di quella Chiesa, ebbe Casareggio, Masone, Cassano, feudi in Sicilia, in Spagna, in Fiandra, nel Napoletano ed altri.
I Luccoli ebbero inoltre Cantalupo, Busalla, Tassarolo, Roccaforte, Ronco, Rocchetta, Mongiardino, Francavilla, Lucca, Tortona, Vergagni, Isola del Cantone, Borgo Fornari, Voltaggio, Dernice, Pietrabissara, Lerma.
Giovanni Villani, nella sua “Storia di Firenze”, narra che nel 1312 l’Imperatore Enrico VII, sdegnato contro i Fiorentini, emanò dure leggi contro di loro e tra l’altro ordinò che non potessero battere monete d’oro né d’argento, e consentì per privilegio a Messer Ubizino Spinola di Genova, e al Marchese di Monferrato, che potessero battere in loro terre fiorini di giglio contraffatti al conio dei nostri di Firenze. La qual cosa dai Savi gli fu messa in grande diffalta e peccato, che per cruccio, e mala volontà c’avesse contro a’ Fiorentini non dovea niuno privilegiare che battesse fiorini falsi. Ciò è confermato anche dal Vettori nel suo “Fiorino d’oro antico illustrato”, ricordando anche che Corrado dei Giotti, Gonfaloniere di Giustizia in Firenze, nel 1325 proibì il fiorino d’oro che batteva in Genova Opizzino Spinola, perché era simile a quello di Firenze.
Le due testimonianze non lasciano dubbio sul privilegio ottenuto da Opizzino, né sull’uso che egli ne fece, tuttavia nessun altro documento o memoria dei diversi cultori di cose liguri cita monete così contraffatte, per cui non ne conosciamo alcuna. D’altra parte nell’atto di investitura di Enrico VII nel 1313, che abbiamo citato prima, non vi è parola di zecca, cosa che concessero invece i successori di Enrico ai vari Spinola in tempi posteriori, nel corso del XVI e XVII secolo.
Il privilegio della zecca venne accordato a molti Spinola, ma ne usarono solo i Conti di Tassarolo, i Marchesi di Arquata, i Conti di Ronco, che erano anche Marchesi di Roccaforte, e Gian Battista Marchese di Vergagni.
LA ZECCA DI TASSAROLO
Le origini di Tassarolo non si conoscono, come non si conosce la derivazione del suo toponimo, che pare derivi non dal nome della pianta taxus, ma da quello del tasso animale, tuttavia è certamente antica la sua storia. Infatti, come si legge nel volume I° del Liber jurium, nel 1192 il castello, costruito in posizione strategica a guardia e controllo, come era uso, di vie percorribili o passi obbligati, era possesso della repubblica di Genova, dopo essere già stato dei Marchesi di Gavi, gli Obertenghi, durante le lotte feudali contro Alessandria e Genova.
Dagli Annali di Alessandria del Ghilini, si apprende che nel 1196 si accese la guerra per il possesso del Castello fra i genovesi e gli alessandrini, finché nel 1224 questi lo conquistarono, distruggendolo insieme al borgo che sorgeva all’ombra della torre alta.
Ricostruito ben presto, è ricordato nelle terre che Alessandria si obbliga a difendere con Genova nella convenzione conclusa nel 1227 (Ghilini, opera citata). In seguito sembra che fosse sotto la signoria del nobile genovese Tedisio De Camilla, poi, nel 1349, dopo un tentativo di rivolta a Genova per darsi al Duca di Milano insieme ad altri feudi della Repubblica, tentativo non riuscito per il pronto intervento, duro ed esemplare, dei Genovesi, passò ai nobili Di Negro seguiti dai Castagna, finché nel 1360 fu acquistato dagli Spinola di Luccoli, i cui discendenti ne furono sempre proprietari fino ad oggi.
Nel trattato di pace del 14 ottobre 1454 fra il Duca di Milano Francesco Sforza ed i Veneziani e Fiorentini, si legge che tra i confederati c’erano Galeotus et Hector de Spinulis condomini Taxaroli. Un pronipote di Ettore, Marc’Antonio di Agostino, ottenne dall’Imperatore Ferdinando I, con atto dato a Vienna il 30 marzo 1560, che Tassarolo fosse elevata a Contea e che egli potesse godere tutti i diritti inerenti alla qualità di Conte del Sacro Romano Impero, tra gli altri quello del privilegio di Zecca: …… concedimus et elargimur libertatem et facultatem in antedicto Comitatu Tassaroli officinam monetariam fabricandi et instruendi ac cudendi monetam auream, argenteam et aeream cuiuscunque generis, sorti set valoris, cum iis singis, inscriptione, quae dicto Marco Antonio Spinulae et eius successoribus placuerit, dummodo curatur bona, sincera et iusta……
Attigua al castello, dal lato est, sotto il loggiato cinquecentesco, esiste tuttora la costruzione che a suo tempo costituiva la zecca: si tratta di un lungo edificio rettangolare anch’esso, come il castello, monumento nazionale.
Ricordiamo che il castello di Tassarolo aveva importanza nella valle e nelle vicende militari, allora così frequenti, sia perché dominava una strada molto frequentata, mettendo in comunicazione la Liguria, via Bocchetta – Voltaggio – Gavi, con il Piemonte e la Lombardia, sia perché si trovava al confine della Repubblica di Genova con il Piemonte stesso; tra le sue mura crebbe il generale Agostino, il beato Carlo, il Cardinale Filippo e, nel secolo scorso, l’entomologo Massimiliano, che vi riunì, ancora oggi conservata dai discendenti e ammirata dagli studiosi, una preziosa raccolta di insetti provenienti da tutto il mondo, illustrati con competenza tale da arrecare un notevole contributo alla loro sistematica.
Oggi il castello è oggetto di particolari attenzioni e cure da parte del marchese Marco, appassionato cultore di ricerche storiche e scientifiche, che ringraziamo per il prezioso aiuto prestato a queste note.
Non mi risulta che Marc’Antonio usasse del privilegio di batter moneta, mentre ne approfittarono abbondantemente il figlio Agostino e il nipote Filippo. Del primo Conte di Tassarolo resta una medaglia di bronzo, con al recto il busto a sinistra, vestito alla spagnola, contornato dall’iscrizione MARCVS ANT. SPINOLA COMES TASSAROLI e sotto il busto la data 1567. Il verso offre l’immagine di Atlante che regge il mondo. Molto ben rilevante sono le membra del corpo ed i segni dello zodiaco, che si vedono nella porzione del globo, interrotto dal contorno perlinato: SUS-TINE. è l’imperativo evidentemente rivolto al Conte per esaltarne le virtù. Non si conosce il nome dell’incisore, che non era certo da poco, a giudicare l’arte di questa medaglia.
Nel 1596 fu introdotto in Italia l’uso di battere monete simili ai fiorini ungheresi, chiamati ongari o ungari, che erano d’oro, di peso uguale allo zecchino veneto, carati 18 1/2 e del valore di danari 23 1/2. Ne uscirono delle zecche di Sabbioneta, Correggio, Macagno, Masserano, Vigevano e Tassarolo. Altro uso frequente nelle zecche del tempo, e specialmente in quelle di Firenze, Genova, Pesaro, Lucca, Fosdinovo, Loano, Monaco, era di coniare monete destinate ai traffici con il Levante contraffatte con quantità minori di fino per avere più lauti guadagni. Nelle Notizie sulla battitura dei uligini lette al Magistrato delle Monete della Repubblica il 29 settembre 1667, pubblicate dall’Olivieri in “Monete, Medaglie e Sigilli dei Principi Doria”, si afferma che nel 1663 si iniziarono a battere tali monete in Tassarolo ed una certa quantità ne fu spedita in Smirne a tale Valentino Berti, il quale fu scoperto ed accusato, con confisca di 2000 pezzi, salvandosi solo con la fuga.
Anche il Viani nelle “Memorie della Famiglia Cybo” cita una sentenza del Parlamento di Aix in data 22 dicembre 1667 in cui si legge che anche nella zecca di Tassarolo si battevano monete per il Levante.
Gli zecchieri di Tassarolo non batterono abusivamente soltanto i cosiddetti “Luigini” per il Levante, ma falsificarono anche monete di altri paese, compromettendo il nome del loro Conte. Infatti, sempre dalle “Memorie della Famiglia Cybo” si legge che nel 1665 furono imitate le monete da otto bolognini del duca di Massa Alberico Cybo II, il quale, avvisato dal suo zecchiere, ordinò che ne fosse informato l’Imperatore a Vienna. L’affare fu tacitato col ritiro delle monete false, riconoscibili da quelle autentiche soprattutto dall’attributo di principe dato ad Alberico, mentre il conio di Massa reca il Dux della dignità ducale. La moneta battuta a Tassarolo reca infatti nel dritto l’immagine del duca coll’iscrizione ALBERIC.II.S.R.I.MASSAE.PRI e il numero 8 (indicante la quantità dei bolognini), al rovescio lo scudetto con lo stemma dei Cybo, il motto LIBERTAS e l’epigrafe CVSTODIAT. DOMINVS 1665; moneta assai rara, come la maggior parte dei uligini battuti nei feudi imperiali, poiché, quando furono proibiti per unanime consenso dei vari principi, vennero minacciate pene gravissime agli spacciatori, i quali si affrettarono a distruggerli.
LE MONTE DEGLI SPINOLA DI TASSAROLO.
Le prime monete di Tassarolo portano la data del 1604, battute da Agostino Spinola, figlio del Marc’Antonio, che, come abbiamo visto, ne aveva ricevuto il privilegio. La grida dell’8 giungo 1602 della Repubblica di Genova parla delle monete di Loano del Principe Doria e tace di quelle di Tassarolo, per cui evidentemente a quella data non esistevano ancora. Sono nominate per la prima volta nella grida del 24 settembre 1619, con cui viene permesso alle città di Savona, Varazze, Chiavari, Rapallo e Recco di spendere le monete di mistura forestiere proibite il 9 luglio dello stesso anno e tra queste sono elencati i pezzi da soldi 13 e 4 di Tassarolo.
La grida del 9 agosto 1639 dà alla doppia di Tassarolo valore di 12.12 lire di Genova, l’altra del 2 marzo 1632 uguaglia il ducatone a quello di Savoia, Lucca, Parma, Piacenza, Milano, Mantova, Modena, Venezia, e la doppia d’oro a quella del Duca di Piacenza e del Principe di Massa.
Nei bandi della Casa di Savoia in materia di monete, spesso si danno ordini per quelle di Tassarolo. Il 10 ottobre 1607, l’Auditore Gian Paolo Bianco informava che i talleri coniati a Masserano, a Tassarolo e nel Monferrato non potevano aver corso negli Stati di Savoia. Il 28 gennaio 1614 Carlo Emanuele proibiva l’introduzione, uso commercio e transito nei suoi Stati di tutte le monete di Masserano, Tassarolo e Desana; altre grida simili venivano pubblicate fino al 23 giugno 1691, sotto il Duca Vittorio Amedeo II.
Due grida di Sabbioneta, del 9 settembre 1619 e del 3 maggio 1616, danno corso ai denari di Parma, Mantova e dello Spinola, una grida di Mantova del 14 settembre 1614 fa valere il tallero del Conte di Tassarolo lire 4.13. Il Bellini nell’“Antica lira ferrarese” cita una grida di Ferrara del 2 agosto 1612 nella quale si da corso ad una Moneta del Conte di Tassarolo, da una parte l’impronta del Conte armato, e dall’altra un’aquila con due teste, ed in mezzo all’aquila un’arma d’Austria L. 2,13,1.
Diverse tariffe di Anversa e molti altri editti per il corso delle monete stampati in Italia ed in Francia nel secolo XVII danno il valore di varie monete di Tassarolo e ne accenneremo nella descrizione di queste, seguendo, come sin qui si è fatto, l’ottimo testo di Agostino Olivieri “Monete e Medaglie degli Spinola” (Genova, 1860).
Le Monete di Tassarolo - II (NOVINOSTRA, Dicembre 1975) |
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